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Storie in cucina

Polenta: storia di un mito

La polenta è un piatto della tradizione popolare che viene preparato utilizzando farine, di cereali o di legumi, che vengono cotte a lungo in acqua utilizzando una pentola apposita chiamata paiolo, realizzata solitamente in rame.

Il suo nome deriva dal termine latino puls, che corrisponde ad una specie di polenta di farro che veniva consumata dagli antichi romani e non solo.

La polenta più conosciuta e diffusa è quella di mais giallo, la cui farina si divide in tre tipologie che si differenziano tra loro per dimensione: abbiamo la farina bramata, quella classica a grana più grossa, la farina fumetto e la farina fioretto, più fini. Si tratta di farine a pasta gialla, anche se dal mais bianco, più raro, si può ricavare una polenta bianca, specialità tipica del Veneto.

La polenta di mais è un piatto molto versatile: si può mangiare in versione dolce o in versione salata (es. polenta taragna, uncia, concia, fritta), anche in abbinamento a sughi, formaggi, piatti di carne e di pesce. Non contenendo glutine può essere mangiata tranquillamente anche dalle persone con celiachia.

Storia della polenta

Prima dell’introduzione in Europa del mais la polenta si preparava utilizzando farine come quella di farro, di miglio o di frumento. Con la scoperta dell’America, e l’arrivo del mais – che veniva coltivato già da migliaia di anni in America Centrale – nella storia della polenta avvenne una vera e propria rivoluzione: nel nostro continente infatti il piatto, a partire dal Cinquecento (in Veneto, espandendosi successivamente nel bergamasco, nel milanese e in Piemonte), iniziò a diffondersi tra gli strati più umili della popolazione.

Nel Sette-Ottocento la polenta, un alimento molto economico, era alla base dell’alimentazione nelle zone rurali della Penisola e a volte era l’unico cibo disponibile. Purtroppo, parallelamente a questo largo consumo, alla fine del 19mo secolo si diffuse capillarmente anche la pellagra, una malattia legata alla carenza di vitamine del gruppo B, niacina (vitamina PP) o di triptofano (l’amminoacido necessario per la sua sintesi), che venne sconfitta solo apportando importanti cambiamenti alimentari.

Il mais infatti contiene sì queste vitamine ma, se non viene consumato insieme ad altri alimenti freschi – come ad esempio il latte – o se non viene sottoposto ad un trattamento di alcalinizzazione come la nixtamalizzazione, queste non possono essere assorbite correttamente dal nostro organismo.

 

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